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Written by: Professione e Formazione

Una (santa?) alleanza per l’architettura

Una (santa?) alleanza per l’architettura

A metà ottobre, Gehry Technologies (il braccio imprenditoriale e digitalmente armato di Gehry and Partners) ha emesso un comunicato stampa per annunciare la formazione di un’«alleanza strategica» con un selezionato gruppo di personalità, interne o vicine al mondo dell’architettura, che d’ora in poi faranno parte del comitato consultivo di Gehry Technologies. Il fine è «trasformare l’industria edilizia e la pratica del progetto per mezzo della tecnologia».
Da quanto si legge, il primo incontro – avvenuto a New York nello stesso giorno del comunicato – ha fornito l’occasione ai partecipanti di assistere a dimostrazioni delle tecnologie e dei programmi sviluppati in casa Gehry, nonché di parlare del futuro del progetto e del ruolo della tecnologia. Da oggi in poi il comitato si incontrerà mensilmente in rete e di persona una volta l’anno. Nelle parole almeno ufficialmente attribuite a Gehry, la logica di una tale mossa va identificata nel fatto che «l’industria edilizia si sta muovendo verso la riduzione della responsabilità individuale mentre tende a distanziarsi dal produrre architettura con la capacità di risolvere i problemi della committenza e della comunità». Per tale motivo, secondo l’architetto nordamericano, è necessario lavorare «per dare agli architetti più controllo del processo [non è chiaro se progettuale o realizzativo, Nda] mettendoli così nella condizione di sfruttare appieno la loro immaginazione, che poi è quanto richiesto dalla committenza.
Il gruppo è stato raccolto mettendo insieme amici che, credendo in una tale missione, vogliono aiutarci a trovare le soluzioni adatte ad aumentare la qualità degli edifici nel mondo». Sorvolando non solo sulla retorica adoperata ma anche sulle dichiarazioni d’intenti più specifiche, relative a nuovi approcci progettuali, a processi industriali più efficaci e a un migliore ambiente costruito, vale la pena soffermarsi sulla composizione del gruppo: otto architetti (Frank Gehry, David Childs, Zaha Hadid, Greg Lynn, Wolf Prix, Moshe Safdie, Patrick Schumacher e Ben van Berkel), un architetto di interni/scenografo (David Rockwell), un architetto paesaggista (Laurie Olin), un tecnologo ambientale (Matthias Schuler), un imprenditore/appaltatore specializzato (Massimo Colomban, fondatore di Permasteelisa), e uno pseudo-agitatore culturale (Richard Saul Wurman).
Senza mettere in dubbio i propositi che animano l’iniziativa, viene da chiedersi in che modo una coalizione come questa, tutto sommato monoculturale e omogenea per difetto, possa o voglia misurarsi tanto con le sfide vere della costruzione come industria (quindi non solo in relazione a sale concerti e musei ma anche al tessuto urbano, alla sostenibilità dei materiali utilizzati, all’utilizzo della manodopera disponibile e via discorrendo), quanto con i problemi della responsabilità individuale e del progetto come servizio identificati da Gehry nel suo cappello introduttivo. Questa potrebbe essere una lente importante da utilizzare in futuro per guardare senza pudicizie alle realizzazioni dei vari sottoscrittori dell’iniziativa.

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Last modified: 22 Luglio 2015